Il Sostituto Procuratore Generale di Firenze Alessandro Crini ha chiesto condanne a 30 anni per Amanda Knox e a 26 per Raffaele Sollecito accusati dell'omicidio di Meredith Kercher. Le richieste sono state formulate durante l'udienza di oggi del processo d'appello bis in corso a Firenze. Il Procuratore Generale ha chiesto 26 anni di reclusione per entrambi gli imputati per l'accusa di omicidio volontario. Per Amanda a questa pena si devono aggiungere altri 4 anni di reclusione chiesti per la calunnia nei confronti di Patrick Lumumba. In primo grado a Perugia Amanda venne condannata a 26 anni di reclusione e Raffaele a 25.
«La traccia sul coltello guarda verso Amanda» Nel corso delle due udienze, di ieri e di oggi, il Sostituto Procuratore Generale Crini ha detto che «la traccia che venne trovata sulla lama del coltello ritenuto l'arma del delitto ha un profilo genetico pulito che guarda nella direzione di Meredith Kercher» ed «è una traccia chiara: quelle risultanze – ha detto – sono venute fuori in modo pulito». Crini ha ricordato "la bagarre" che «si scatenò» su quei risultati, ma ha difeso il lavoro della polizia scientifica: «ci andrei cauto a parlare di incompetenza e scarsa professionalità». «Qualsiasi congettura che si possa fare sulla contaminazione – ha detto – è smentita in radice, questo coltello è palesemente non contaminato. Importanti convegni e saggi danno conto della presenza di Sollecito sul gancetto del reggiseno di Meredith Kercher» ha detto ancora il Pg di Firenze. Riferendosi alla perizia d'appello fatta a Perugia dalla professoressa Carla Vecchiotti, che non escluse una contaminazione della traccia, Crini ha parlato di «valutazione poco coerente». Riferendosi a una traccia sul coltello non analizzata a Perugia perché ritenuta insufficiente ma poi studiata a Firenze (e attribuita ad Amanda), il Pg ha detto che la decisione di non esaminarla fu «un fatto grave» che dimostra «una inadeguatezza» di cui si deve tener conto nel valutare «le perplessità» che i periti sollevarono «sulle altre tracce. Non è in dubbio la professionalità ma la lettura dei dati». Le ipotesi dei periti dell'appello di Perugia su possibili contaminazioni della traccia attribuita a Raffaele Sollecito e trovata sul gancetto del reggiseno di Meredith Kercher sono «congetture. La contaminazione puntiforme o è un reato o è un ossimoro biologico – ha spiegato Crini – Non ha senso che possa contaminare un oggettino nascosto senza contaminare una quantità di cose».
«Amanda impugnava il coltello più grande» «Mentre Rudy Guede teneva bloccata con una mano Meredith Kercher e con l'altra ne abusava sessualmente – ricostruisce Crini – Amanda Knox e Raffaele Sollecito colpivano la studentessa inglese con due coltelli». Per Crini, Sollecito aveva in mano un coltello piccolo, che usò per ferire Meredith e per tagliare il gancetto del reggiseno «per aumentare la temperatura della vicenda». La ferita più profonda fu inferta con un coltello più grande, impugnato da Amanda. La sua traccia trovata fra lama e impugnatura «è significativo rispetto a un uso improprio». Per Crini, «l’analisi del racconto di Raffaele Sollecito, che disse che la sera dell'omicidio di Meredith Kercher era in casa davanti al computer, costituisce un primo elemento per caratterizzare la cosiddetta falsità dell'alibi. Dico che stavo interagendo con il pc – ha spiegato Crini, citando Sollecito e sottolineando che con gli investigatori in un primo momento parlo' 'al singolare' – ma questo elemento trova riscontri negativi e questo dato conferisce dignità al ragionamento sulla possibile falsità dell'alibi». Per Crini, dagli accertamenti dei consulenti emerge che non è dimostrato che Sollecito interagì con il pc e questo «elemento ci dà una rappresentazione di non autenticità che è importante» e che «dal punto di vista della prova rappresenta un alibi che non è semplicemente fallito, perché nel momento in cui tu lo consegni sai che non è autentico».
«La condanna di Guede? Non centratissima» «La condanna di Rudy Guede a 16 anni di carcere, inflitta con rito abbreviato, per l'omicidio di Meredith Kercher non mi è sembrata centratissima». Crini ha fatto capire di ritenere la pena bassa. «Guede – ha ricordato – è un assassino, condannato». Secondo il Pg, «il finto furto fu un depistaggio: non puoi far sparire il cadavere e quindi cerchi di confondere le acque». Crini ha a tratti smorzato i toni della sua lunga requisitoria (sei ore per adesso), come quando, parlando delle impronte numero 36 trovate nella casa del delitto, ha ricordato «quel vecchio calciatore del Catanzaro, Palanca, che aveva un piede molto piccolo», o anche quando ha definito il testimone Luciano Aviello, ascoltato durante l'appello bis, «la Mercedes dell'inattendibilità». A Crini è sfuggita pure un'involontaria citazione di Corrado Guzzanti, rispondendo «la seconda che hai detto» a una domanda posta retoricamente alla Corte.
Il Pg e la madre di tutte le perplessità «Nella calunnia a Patrick Lumumba – dice Crini – Amanda Knox inserì "l'urlo e la violenza", cioè elementi di verità: da dove derivano questi dati se non dall'essersi confrontata direttamente con questa vicenda? La componente onirica appare un po' barocca – ha aggiunto – un po' una giustificazione per dare un senso ad affermazioni che invece hanno un significato primario dal punto di vista dell'indizio. Io attribuisco alla calunnia a Lumumba un rilievo primario – ha concluso – non me la sento di dire che fu una cosa giovanile. La presenza della Knox – ha poi detto – è difficilmente sganciabile dalla presenza di Sollecito sul luogo del delitto. Amanda disse alla madre che Patrick Lumumba non c'era. Cosa ti dà questa certezza se non il fatto di essere stata presente? La combinazione di tutti questi elementi riveste di poca plausibilità questo racconto». Per Crini «i sospetti sulla Knox trovano un gancio nel racconto di questa signorina», per il fatto che «non è convincente». Per Crini «la madre delle perplessità» nasce dal fatto che Amanda disse di essere tornata a casa, dopo aver dormito da Raffaele Sollecito, per fare la doccia ma di non aver visto il caos provocato dal furto che sarebbe stato compiuto nella camera della sua coinquilina.