Si chiude l’era Mancini a Palazzo Sansedoni e si chiude l’era di una Fondazione Monte dei Paschi che ha erogato negli ultimi 4 anni un tesoro di 214 milioni di euro a progetti terzi e oltre 90 milioni per progetti propri. Ma prima di tornare nella sua San Gimignano il presidente ha incontrato un’ultima volta la stampa per trarre un bilancio del suo mandato e per togliersi qualche sassolino dalle scarpe (scarica l'intervento integrale). Il primo, e forse il più ingombrante sulle scelte effettuate dall’ente presieduto in merito al mantenimento del 50,1% del capitale sociale della Banca. La scelta che ha poi dettato e detterà per sempre il futuro di Palazzo Sansedoni.
Quelle strane folgorazioni «Le scelte sono state effettuate su dati poi risultati falsi e in adesione, ripeto, a una interpretazione rigida del concetto di controllo della Banca – ha sottolineato Gabriello Mancini -. Concezione vincolata anche alle forti istanze provenienti dall’intera comunità senese, cittadina e provinciale, che attribuivano valenza strategica primaria al mantenimento di almeno il 50,1% del capitale sociale della Banca. Solo successivamente – e a crisi ormai conclamata – questa interpretazione, dimostratasi troppo rigida, ha trovato una diversa declinazione e sono improvvisamente scomparsi molti di coloro che giudicavano tale limite come irrinunciabile e indiscutibile. Ci sono state evidentemente clamorose folgorazioni pur non essendo sulla via di Damasco»
Il bilancio «Indubbiamente chiudiamo in maniera diversa da come abbiamo iniziato, siamo consapevoli di questo – ha spiegato Mancini -. Do un giudizio positivo del nostro mandato che ha dimostrato impegno e senso di responsabilità. Sicuramente abbiamo dovuto affrontare scelte difficili in momenti difficili condizionate da una situazione economica nazionale e internazionale molto complessa. Scelte che abbiamo fatto sempre nell’interesse della fondazione, della banca e di questo territorio. Probabilmente qualcuna si è verificata poi non propriamente azzeccata ma l’abbiamo fatta sulla base delle indicazioni che avevamo da parte della banca, sul sentire comune di questa collettività e degli enti nominanti. Le scelte fatte vanno contestualizzate al momento in cui sono state fatte e con gli elementi a disposizione»
La scelta da non rifare Tra le tante scelte fatte e che oggì hanno portato la Fondazione ad una dismissione delle quote azionarie nel capitale sociale della banca e ad un debito di 350 milioni, una su tutte, col senno di poi, il presidente sicuramente non la rifarebbe «A questo punto, secondo come sono andate le cose, non rifarei l’aumento di capitale. Dei dubbi già c’erano di seguire il secondo aumento, cioè quello del 2011. Questo era l’invito che veniva dalle autorità nazionali, era il sentire comune della collettività senese e soprattutto c’è da considerare il fatto che l’aumento era già partito e quando ci fu detto se la Fondazione non avesse aderito l’aumento di capitale sarebbe fallito con gravi conseguenze per la banca. Se avessimo avuto dati veri può darsi che avremmo preso decisioni diverse».
Quel sassolino da togliersi Mancini si definisce poi tranquillo e sereno e a chi negli ultimi mesi lo ha messo sul banco degli imputati per la situazione in cui vertono fondazione e banca risponde in maniera secca nel suo ultimo giorno a Palazzo Sansedoni: «le mani sono completamente pulite e quanto sta emergendo dalle indagini della Magistratura risulta che la Fondazione è completamente estranea. Sono tranquillo come presidente e come cittadino e la fondazione è parte lesa. La notte dormo tranquillo, abbiamo espletato il nostro mandato al meglio. Errori si possono fare sempre, ma è troppo comodo dettare delle linee, stabilire dei principi e di fronte ai cattivi risultati dare la colpa alla Fondazione. Se le cose andavano bene tutti erano bravi. Siccome le cose così non sono andate allora la colpa è della fondazione. A questo gioco non ci sto, non è giusto».
Come una municipalizzata Gli enti nominanti, cioè gli enti locali, talvolta «hanno considerato la Fondazione Mps come se fosse una municipalizzata, ma non lo siamo». Ha detto poi il presidente uscente ribadendo poi nuovamente: «Noi ci siamo mossi secondo quelli che sono stati gli indirizzi che venivano dal territorio. Tutto quello che abbiamo fatto lo abbiamo fatto in buona fede».
Finanziatori stranieri, «io sarei stato zitto» In merito poi a quanto rivelato ieri dal sindaco Bruno Valentiniin merito di nuovi investitori stranieri all’orizzonte (leggi), Mancini ha detto: «Le cose prima si fanno poi si dicono, io avrei agito in modo diverso e sarei stato zitto. Speriamo ci siano, a me non risultano, io al posto del sindaco comunque gli avrei detto di contattare la Fondazione. Le cose non si annunciano in fieri ma solo quando si sono fatte».
Il Dg Pieri: «Nessuna trattativa su cessioni azionarie» «Non ci sono trattative in corso sulle quote di Banca Mps in mano alla Fondazione». Lo ha detto il Direttore Generale della Fondazione Mps Claudio Pieri rispondendo ha chi chiedeva se all'ente fossero arrivate offerte: «No, purtroppo no. Non c'è stato nessun contatto. E credo non ce ne saranno fino a quando non saranno chiusi i contatti tra Roma e Bruxelles» ha proseguito riferendosi al piano di ristrutturazione di Mps sotto esame della Commissione Europea, «anche se credo che ci siano degli osservatori interessati. Nessuno però si farà avanti fino a quando sarà tutto definito». Intervenendo poi anche il Direttore Generale Pieri su quanto dichiarato ieri da Valentini, ha sottolineato: «per trattare bisogna disporre delle azioni. E poi sono dati sensibili per il mercato e ci possono essere anche degli aspetti penali. Spero anch'io ci sia qualcosa ma non lo so: evidentemente sono stati piu' bravi di noi che li avevamo cercati senza riuscirci».