Dubbi di legittimità si insinuano sul voto del presidente della Fondazione Mps Gabriello Mancini all’assemblea dei soci di banca Mps che ha dato il via libera all’abolizione del tetto del 4% per i soci privati. A sollevare l’ombra della regolarità sul voto dell’azionista di maggioranza della banca è stato Alberto Monaci, presidente del Consiglio regionale, ente competente alla designazione di un membro della deputazione generale della Fondazione. «Il presidente Mancini non deve votare le modifiche allo statuto della banca – aveva ammonito Monaci scrivendo allo stesso Mancini e per conoscenza al presidente della banca Alessandro Profumo e al ministro dell’economia Fabrizio Saccomanni – La deliberazione con cui si è affidato mandato di voto a Mancini – si legge nella lettera – è stata assunta dalla Deputazione Amministratrice che però non risulta legittimata ad assumere deliberazioni di simile rango strategico che lo statuto della Fondazione riserva all’articolo 8 alla Deputazione Generale».
Il lasciapassare A dare il disco verde al voto di Mancini era stata infatti, lunedì 15 luglio proprio l’amministratrice come comunicato dalla Fondazione stessa. «La Fondazione Monte dei Paschi di Siena, all’assemblea di Banca Mps convocata per il prossimo 18 luglio, voterà a favore dell’abolizione dell’articolo 9, comma 1 dello statuto. La decisione è stata presa oggi dalla Deputazione Amministratrice, dopo un approfondito esame delle ragioni che inducono ad abolire tale vincolo».
Gli articoli dello statuto Secondo quanto scritto all’articolo 8 dello statuto della fondazione senese «La Deputazione Generale ha competenza in tema di approvazione e modifica dello statuto e dei regolamenti interni da esso previsti; indirizzo e programmazione dell’attività della Fondazione (da qui la competenza della direzione generale sulla questione ‘tetto’, ndr), individuazione delle priorità e degli obiettivi e verifica dei risultati mediante monitoraggio periodico», mentre l’articolo successivo fissa i limiti dell’azione di quella amministratrice che «ha, nell’ambito dei programmi, delle priorità e degli obiettivi stabiliti dalla Deputazione Generale, tutti i poteri per l’ordinaria e la straordinaria amministrazione della Fondazione, salvo quelli riservati alla stessa Deputazione Generale dall’art.8».
I motivi della scelta Ma perché Mancini avrebbe dovuto bypassare l’organo di indirizzo e affidare il suo mandato a quello amministrativo? Secondo quanto apprende Agenziaimpress.it la scelta sarebbe stata dettata dalla ormai mancata maggioranza del presidente all’interno della Deputazione Generale che lo ha, di fatto, sfiduciato. Da qui il ricorso al percorso più semplice, quello della Deputazione Amministratrice. Una situazione di evidente scollamento tra i due organi che si sarebbe creata e acutizzata negli ultimi due anni. Come si legge nella bozza di documento di fine mandato elaborata dalla Deputazione Generale stessa che, in una sorta di memoria, racconta quanto accaduto. «Da un lato è stato reso difficoltoso il controllo dei risultati, se non a posteriori; dall’altro, l’organo di indirizzo è stato costretto a mantenere in vita un rapporto fiduciario che si sarebbe certamente interrotto, a norma di Statuto». E ancora, rispetto agli ultimi quattro anni: «Si tratta, cioè, di situazioni che hanno incrinato il rapporto tra la Deputazione Generale e gli altri organi della Fondazione, che, in tempi normali, avrebbero condotto sicuramente alla revoca degli organi amministrativi; ma data la possibile correlazione tra la revoca e le clausole pattuite con i creditori e il periodo turbolento in cui le notizie sono divenute pubbliche, questo atto avrebbe causato danni irreparabili alla Fondazione sia dal punto di vista patrimoniale che organizzativo».