Astensionismo, vinti, vincitori e ballottanti. All’indomani del verdetto delle urne per le elezioni amministrative (leggi), un’analisi a tutto tondo sui risultati nei capoluoghi toscani con particolare riferimento al “casus studi” senese che sta attirando l’attenzione dei media nazionali dopo le vicissitudini politiche e gli scandali che hanno minato le fondamenta economiche e sociali della città. «I risultati delle elezioni nei Comuni capoluogo toscani – dice Luca Verzichelli, politologo dell’Università di Siena – non possono non essere classificati in prima battuta come la riconferma di alcuni valori tradizionali. Scontato l’effetto dirompente di un astensionismo “monstre” per gli standard della regione, passano alla prova del voto partiti e simboli già presenti, o comunque liste che rappresentano le culture politiche predominanti del centro-sinistra. A Pisa viene confermato il sindaco Marco Filippeschi, scongiurando il rischio di un pericolo ballottaggio. A Massa, complice anche la defaillance del PdL locale, Alessandro Volpi conferma la superiorità del centro-sinistra, ma questa evitando lo scontro tra progressisti che aveva connotato le ultime elezioni, e chiudendo la partita al primo turno. Anche a Siena, dove pure si registra un dato di per se rivoluzionario come il ricorso al ballottaggio, evento che sotto la torre del Mangia non occorreva da venti anni, qualche elemento di continuità si vede: il partito democratico non implode, e la sinistra nel suo complesso mantiene, dati alla mano, un verosimile margine rispetto alle liste di centro-destra».
I senesi hanno dunque premiato la continuità, come molti lamentano anche sul web?
«Non si deve confondere continuità delle idee e delle culture politiche con la continuità dei leader e nel modo di governare – prosegue Verzichelli -. Bruno Valentini è uno di quei personaggi del PD – per altro molto diversi tra loro – che si sono imposti nel partito non senza fatica. Per la sua storia, Valentini non potrà rinunciare anche nei prossimi giorni al ruolo di grande innovatore, ma dovrà valutare bene, per vincere, il rapporto con vari soggetti “tradizionali” della politica. Di attori non proprio inediti ce ne sono tanti anche nelle liste che hanno fatto corsa solitaria, dall’ex vice-sindaco Mauro Marzucchi ai partiti dell’estrema sinistra che hanno invece scelto, con vecchie effigi e qualche consolidato slogan movimentista, l’appoggio ad un personaggio capace di riscuotere grande stima come Laura Vigni. Ed un analogo mix di vecchio e nuovo, d’altronde, si trova nella destra senese, dove si conferma un dato locale consolidato, l’estrema frammentazione del fronte moderato, con quello nazionale della debolezza strutturale del partito di Silvio Berlusconiquando si tratta di votare nel territorio e per il territorio. Colpisce che la lista più vicina al PDL, che aveva scelto un aggettivo "ampio" come "moderati" sia andata persino peggio della lista personale del candidato Eugenio Neri».
Una miscela di vecchio e nuovo allora. Ma può reggere un sistema così?
«Questo è il punto – conclude Verzichelli – . Sono elezioni dove le culture e alcuni attori della tradizione hanno saputo riproporsi, ma non siamo al passaggio decisivo. Non a caso è Siena lo scenario dove il verdetto deve essere scritto da un ballottaggio dove conterà a maggior ragione la persona e lo stile del futuro sindaco. Ma il tema si estende anche alle altre città e persino ai Comuni più piccoli, dove abbiamo assistito a molte conferme, in un quadro tuttavia di crescente incertezza. Per la prima volta in Italia (e anche in Toscana) scopriamo una volatilità del voto che non riguarda solo il solito 10% di “astensionisti intermittenti”. L’elettorato in movimento si fa più corposo, come mostra la vicenda del Movimento Cinque Stelle, anche grazie a un crescente numero di "astensionisti puri" che abbassano la misura dei distacchi tra vincitori e sconfitti. Se il centro-sinistra prevale, in coerenza con la cultura di molti elettori e con la migliore organizzazione territoriale dei suoi partiti, chi guida il rinnovamento nei rispettivi fronti deve sapere che il rifiorire di fenomeni di pura gestione “consociativa” del potere locale sarebbe letale, e deve dunque continuare a “mettere la faccia” su un percorso di rinnovamento della politica che è necessario in ogni partito. E che è secondo me soltanto all’inizio. In Toscana come altrove».
A Siena ha dominato anche il voto disgiunto. A cosa è dovuto e che significato nasconde?
«Anche questo non è fenomeno del tutto nuovo, che si lega al sistema elettorale e alla natura peculiare dell'elezione diretta del capo di governo locale. È innegabile che talvolta il voto disgiunto possa premiare personalità particolarmente stimate al cospetto del relativo appealdelle rispettive liste. Tuttavia, l'uso del voto disgiunto questa volta a Siena, di nuovo, mi pare frutto dell'estrema fluidità della politica cittadina. I flussi all'interno della oramai ridotta coalizione di centro-sinistra sono assolutamente in movimento, ed è evidente che risentono dei vari sentimenti di un elettorato che può essere di volta in volta scontento del candidato o di uno dei partiti che lo sostiene, ma che per ragioni di appartenenza non si allontana da tale area. Poi abbiamo casi di candidati che fanno un poco meglio delle rispettive liste per ovvie ragioni: ricordavo prima la ottima figura di Laura Vigni al cospetto di liste oramai "di nicchia"; poi vedo la situazione di paradossale incapacità organizzativa del centro destra, che finisce per premiare solo Neri rispetto a tutte le liste, e anche il consenso personale, per altro assai ridotto, di alcuni candidati sindaci rispetto a quella nozione di lista civica che a Siena è oramai usurata quasi quanto i partiti tradizionali, proprio perché letta da molti come "fazione chiusa" e non una autentica nuova area di consenso. L'eccezione, che però conferma la regola, è Marzucchi. È evidente che è difficile per chiunque abbia una importante storia istituzionale e partitica alle spalle dare valore aggiunto ad un autentico nuovo movimento civico. In questo caso dunque il voto (di pura appartenenza partitica) ha pagato (leggermente) più il partito che non il candidato.»
Come motiva il flop elettorale del Movimento 5 Stelle in Toscana e in quella Siena teatro di due tappe di Beppe Grillo in pochi mesi?
«In questa forte flessione vedo due elementi: in primo luogo la natura strutturalmente non "organizzata" del movimento, che genera una sistematica incapacità di generare candidati capaci di trainare consenso alle liste, cosa necessaria nel contesto delle elezioni locali. In secondo luogo, c’è l'effettiva perdita di consenso legata alla maldestra gestione dell’agenda politica fatta in questi due mesi di presenza nelle "stanze" del nostro sistema politico da parte del M5S. Su questo secondo aspetto sarei tuttavia cauto: non sono tra quelli che vedono una fine immediata del movimento, che ha ancora chance anche per il riflesso delle pessime performance dei partiti "veri". Tuttavia ritengo che il M5S debba decidere cosa fare da grande e scegliere tra una qualche formula di preferenza coalizionale (almeno sul piano territoriale, come fece la Lega a suo tempo) ed una cristallizzazione della sua natura anti-sistema. Se questo secondo scenario risultasse quello preferito dal movimento, consiglierei a Grillo di non entrare in lizza nelle elezioni amministrative, appoggiando eventualmente liste civiche e candidati locali per nascondere meglio la propria incapacità di reclutare sul territorio e di scegliere un campo e una proposta di governo tra quelle in gioco, tutte proprietà indispensabili per partecipare davvero all'elezione diretta di un capo del governo locale».