Un anno di inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena da quel 9 maggio 2012 quando le Fiamme Gialle avvolsero Rocca Salimbeni e si propagarano a Palazzo Sansedoni, sede della Fondazione Mps, negli uffici del Comune e della Provincia fino ad avvolgere in una grande nuvola di fumo tutta la città (leggi). Un anno dopo da quel blitz degli uomini del Nucleo di Polizia Valutaria della Gdf che avrebbe portato allo scoperchiamento di un vaso di Pandora a partire dall’acquisizione di Antonveneta, che il Monte comprò nel 2008 pagando 9,3 miliardi di euro al Banco Santander di Emilio Botin che, solo 3 mesi prima l'aveva comprata per 6,6 mld.
 
Antonveneta, la miccia dell’incendio L’inchiesta ha assunto poi nuovi filoni d’indagine ed è corsa su diversi binari in un anno di interrogatori illustri e colpi di scena codotti sullo sfondo di un sempre crescente clamore mediatico, un sali e scendi di intermezzi e strumentalizzazioni politiche e, soprattutto, di pari passo con una dura operazione di salvataggio e rilancio economico della banca stessa condotta dagli attuali vertici Alessandro Profumo e Fabrizio Viola. I Pm (Antonino Nastasi, Aldo Natalini e Giuseppe Grosso) erano inizialmente riusciti a non far trapelare niente dagli uffici della Procura sull’acquisizione di Antonveneta ed oggi l'inchiesta, che riguarda anche il Fresh da 1 mld utilizzato da Mps proprio per l'acquisizione, si è moltiplicata e altri fascicoli, comunque legati, sono stati aperti.
 
Gli indagati noti e non solo Gli indagati dovrebbero essere una ventina, dai Pm non è mai arrivata una conferma ufficiale. Tra questi i nomi principali, e quelli più “illustri”, sono quelli dell'ex presidente e dell'ex direttore generale del Monte, Giuseppe Mussari e Antonio Vigni, dell'ex responsabile dell'area finanza Gianluca Baldassarri (l'unico in carcere ormai da oltre 3 mesi) e, tra gli ultimi iscritti nel registro degli indagati, l'ex manager executive per Europa e Medioriente di banca Nomura Sadeq Sayeed e l'ex responsabile per l'Italia dell'istituto giapponese Raffaele Ricci.
 
I sequestri e i filoni in via di chiusura Complessivamente sono stati sequestati beni per oltre 40 milioni, anche se quello più pesante (1,8 mld) chiesto per Nomura ha avuto uno stop dal Gip Ugo Bellini e ora occorrerà attendere il riesame e, quasi certamente, la Cassazione. I magistrati non sarebbero lontani dalla chiusura dell'inchiesta principale, e di quelle sull'ipotesi di insider trading (aperta i primi di marzo dopo una denuncia dei nuovi vertici di Mps) e sulla morte di David Rossi, l'ex capo area comunicazione gettatosi dalla finestra del suo ufficio a Rocca Salimbeni la sera del 6 marzo. Questi ultimi due fascioli, secondo alcune fonti, potrebbero presto essere archiviati.
 
Banda del 5% e derivati Resta da fare molto lavoro, invece, sul filone della cosiddetta “banda del 5%”, la percentuale che, per l'accusa, Baldassarri e alcuni personaggi a lui legati (dentro e fuori la banca) si sarebbero fatti dare da chi voleva fare affari con il Monte, e su quello per la ristrutturazione del derivato Alexandria, operazione fatta con Nomura che per i magistrati nasconde i reati di usura e truffa aggravate, e su altri prodotti finanziari simili. Nelle decine e decine di scatole portate via dal Monte il 9 maggio 2012, altre sono state prelevate nei mesi successivi, i magistrati avrebbero trovato molto materiale. Quello stesso giorno altri uffici, in varie città italiane (da Milano a Roma), vennero passati al setaccio: tra questi le sedi di 11 istituti di credito, italiane e straniere, in affari con il Monte.
 
Diatribe a Palazzo di Giustizia Oggi, ad un anno di distanza dal blitz delle Fiamme Gialle, mentre incombe sempre più minacciosa l’ombra della prescrizione per il caso Antonveneta, l’inchiesta “si colora” anche di un giallo tutto togato e di una sorta di “battaglia” interna al Palazzo di Giustizia. Nei giorni scorsi, infatti, il presidente del Tribunale di Siena Stefano Benini aveva inviato al Csm una lettera per la richiesta di rinforzi per la mole di lavoro dettata proprio dall’inchiesta Mps. «La situazione di emergenza assoluta – scrive Benini nella lettera – in cui viene improvvisamente a trovarsi questo tribunale, a seguito delle note vicende che interessano uno dei maggiori istituti di credito del Paese, e che determinano consistenti ripercussioni sul funzionamento dell'ufficio, in termini di aggravio quantitativo del lavoro e anche di impegno qualitativo, con anche difficoltà connesse alla formazione dei collegi giudicanti nelle fasi dibattimentali. L'aggravio di lavoro per il Bellini – scrive ancora il presidente del Tribunale di Siena- è ai limiti della sostenibilita' e non c'e' giorno in cui il collega non chieda di essere sollevato da quella funzione.La demotivazione e il timore di non essere all'altezza del compito, quantitativamente e qualitativamente, sono evidenti». Pronta e secca la risposta del Gip Bellini che, ieri, dopo aver convocato alcuni giornalisti nella sua stanza, ha tenuto a precisare: «Non ho chiesto di essere sollevato dall'inchiesta Mps, casomai ho richiesto un aiuto affinchè potessi essere sollevato almeno temporaneamente da tutti gli altri incombenti che mi sono stati assegnati tabellarmente specie nel settore civile e nel campo fallimentare. Non ho mai avuto paura nè ho mai manifestato a colleghi timori di non essere all'altezza delle mie funzioni di Gip nell'inchiesta Mps».
 
Qualcosa cova sotto la cenere? Oggi, ad un anno da quelle fiamme gialle che avvolsero Siena, la nube di fumo non sembra essersi dissipata lasciando perlomeno la sensazione di focolai che rimarranno accessi ancora a lungo. L’inchiesta prosegue a ritmi serrati ed ogni previsione su tempi e sviluppi potrebbe essere smentita da nuovi colpi di scena. In attesa di un nuovo anno in Procura, Siena guarda dritto camminando sui carboni ardenti nella speranza che niente covi sotto la cenere.

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