«Caro Segretario, cara Segretaria, in occasione delle programmate assemblee dei circoli dell’Unione Comunale di Siena, ti scrivo per esprimerti la volontà di mettermi a disposizione del Partito e della città in vista delle prossime elezioni amministrative. (…) Ho deciso che è arrivato il momento di mettermi in gioco in prima persona e offrire la mia disponibilità a candidarmi a Sindaco di Siena per il PD».
 
2010 nessuna candidatura oltre Ceccuzzi Iniziava così una lunga lettera indirizzata ai responsabili dei circoli democratici della città di Paolo Mazzini (leggi). Era l’autunno del 2010. Il Partito avrebbe dovuto scegliere il candidato sindaco della città. Ma quella lettera, eccetto alcune serate, non venne mai letta né discussa negli organi del partito. Perché l’apparato aveva già il suo candidato forte e non ammetteva ombre fastidiose. Di lì a qualche settimana, infatti, le assemblee avrebbero ratificato la volontà di Franco Ceccuzzi di diventare primo cittadino. Niente primarie tra candidati, dunque, né vere né farlocche né tantomeno candidature che avrebbero potuto anche solo oscurare quella di Ceccuzzi.
 
Voci dissidenti già in Fondazione E così la lettera venne stracciata nel migliore dei casi e, salvo rare eccezioni, discussa dagli iscritti. Egualmente scopriamo dalla stampa che dentro la Fondazione Mps già dal 2006 voci discordanti al coro pro Giuseppe Mussari si erano levate, all’epoca della sua nomina in Banca. Milano Finanza (leggi) ricostruisce quel che accadeva in quegli anni a palazzo Sansedoni. E racconta di uno sparuto gruppo di “dissidenti” che dal dicembre 2010 si levò contro il probabile secondo aumento di capitale, poi imposto dalla banca alla Fondazione, tra questi Antonella Buscalferri, Mauro Mariotti, Pietro Burresi e, appunto, Paolo Mazzini. Secondo aumento che costò il posto all’allora Provveditore della Fondazione, Marco Parlangeli (2 luglio 2011). Dunque, voci dissidenti, forse flebili magari in ritardo ma comunque c’erano. Solo che nessuno le ascoltava e le riportava.
 
Il confronto delle idee che non ci fu «Convinto come sono che soltanto dal confronto leale e sincero tra idee e persone differenti possano sbocciare le idee migliori per il governo della nostra città, se avessi rinunciato a tale sfida non mi sarei sentito a posto con la mia coscienza», scriveva nell’autunno del 2010 Mazzini. Ma con le sue idee nessuno poté allora confrontarsi.

L'atto di debolezza che ancora paga il Pd Quasi profetico poi in un passaggio Mazzini quando ricorda che «l’unica vera debolezza sarebbe rinunciare a condividere con gli altri le proprie convinzioni, seguendo un atteggiamento di eccessiva prudenza che potrebbe invitarmi a ben altre scelte in questo momento. Tuttavia la mia storia personale e soprattutto la stessa passione politica che oggi è ancora forte come quando iniziai a fare politica, mi hanno convinto a fare un passo avanti e, appunto, offrire ad amiche e compagni del PD senese la mia disponibilità».  All’epoca, invece, l’unica vera debolezza la commise il Pd cittadino, nascondendo agli iscritti una diversa opzione in campo che avrebbe potuto sfociare in primarie; forse perché esisteva già un accordo politico che prevedeva tutte le caselle al loro posto (Provincia, Regione, Banca) e nessuno poteva permettersi di metterlo in discussione. Il tempo si è incaricato di dire che la scelta di non fare allora leprimarie fu un colossale errore politico di cui ancora oggi il partito Democratico paga le conseguenze.
 
A questo punto, però, non si dica che tutti erano consenzienti e silenti, perché qualcuno già nel 2010 provava a far sentire la voce, ma chi aveva responsabilità politiche faceva finta di non sentire.