Siena, una città segnata ultimamente da un susseguirsi di vicende giudiziarie e non solo che hanno avuto fortissime ripercussioni sul tessuto sociale ed economico tanto da far scolorire il ricordo della “città del Buon Governo”. Ma Siena anche la città del Palio. Per molti turisti poco più che una corsa di cavalli dove chi arriva secondo vince semmai la medaglia di bronzo. Mentre sappiamo cosa significhi la Corsa per i senesi, intrisi come sono di tradizione, storia, cultura. Vita.
Siena è e rimane, però, una città dalle grandi ricchezze, con il suo patrimonio artistico inestimabile, il grande patrimonio paesaggistico e i tanti prodotti che la cultura contadina di questa terra riesce ad esprimere. Il profumo e i colori di una terra dove vino, olio, formaggi, carni, fino a poco tempo fa semplici materie prime, oggi sono diventati espressione di una cultura, nel momento in cui anche l’enogastronomia ha riscoperto la sua nobile funzione di descrivere e caratterizzare in maniera importante il proprio territorio di appartenenza.
Siena, senz’altro, non era abituata a gestire i problemi, dove per tanti anni, come si suol dire, la mangiatoia è stata bassa e tutto è stato sempre molto semplice. Un territorio dove, come sul fondo di collina, i turisti rotolavano ammassandosi numerosi e portando denaro, ricchezza e contribuendo a diffondere nel mondo l’immagine di eccellenza di questa città. Poi, d’improvviso, tutto nel mondo si è andato gradualmente ma troppo velocemente modificando in negativo, comprese le ricchezze delle famiglie duramente colpite, con ripercussioni su tutti i settori dell’economia.
Ma noi abbiamo un gioiello di grande valore dato dalla storia, dall’architettura, dall’arte, dall’artigianato ricercato e dall’enogastronomia di alta qualità e dobbiamo promuoverlo nel giusto modo. Dobbiamo saper attrarre un ospite consapevole che cerca questo e che è disponibile a spendere per portarsi a casa un pezzo di storia. Sì, perché anche dentro ad un buon bicchiere di vino c’è la storia di una casata, profuma di storia la gustosissima cinta senese riportata anche nell’affresco del Buongoverno, un pezzo unico fatto dalle sapienti mani di un artigiano c’è il sapere e la passione tramandata da generazioni. Noi dobbiamo riuscire a trasmettere questo magico mix che tutto il mondo sogna. “Tuscan Style” come lo definisco io.
Non possiamo essere felici se arriva una persona in più dell’anno precedente, che guarda frettolosamente e segna un luogo visto in più per poi scappare via. Dobbiamo, invece, essere felici quando intercettiamo il nostro target (e per il momento non ne vedo individuati molti) di un turista di livello, come di livello sono i nostri gioielli, un target che ama soggiornare da noi per respirare la città, anche di notte negli angoli più nascosti, che prova i migliori ristoranti come le osterie e che viene per acquistare i prodotti selezionati che questo territorio offre. Non siamo una città da grandi flussi. Siena non è adatta dal punto di vista architettonico alle grandi masse che finiscono per mettere solo in crisi i servizi, non abbiamo fabbriche che sfornano milioni di prodotti ma artigiani che fanno pezzi unici. Produciamo grandi vini di alto livello, dal Chianti Classico al Brunello fino al Nobile di Montepulciano e i nostri famosissimi macellai, ormai star televisive, che offrono salumi e carni pregiate.
Invece di preoccuparci dei numeri degli arrivi, dobbiamo andare ad intercettare il nostro ospite “ideale” tramite campagne promozionali mirate, dobbiamo comunicare al nostro target i gioielli che possiamo offrirgli e sono molti! Dobbiamo puntare ad turismo esperienziale legato alla storia e ai nostri sapori, turismo culturale legato alle bellezze artistiche, alla storia dei nostri palazzi e delle sue casate, ai musei e ad i gioielli dei grandi artisti che qui hanno vissuto e voluto lasciare il segno. Dobbiamo alzare il livello dei nostri ospiti e farlo velocemente, altrimenti rischiamo di omologarci e dover finire tutti a vendere magneti e cartoline per sopravvivere, allungando la sofferenza ma non risolvendo i nostri problemi.
Dobbiamo, insomma, con orgoglio prendere consapevolezza che dietro a quello che a me piace chiamare “Tuscan Style” si nasconde un mix magico di opportunità, motivi per i quali il turista non può non sceglierci, non preferirci, ma soprattutto non può non avvertire il bisogno di fermarsi nella nostra città e dopo averla salutata tornarci ancora a viverla. Chiediamoci però cosa stiamo facendo per far conoscere questo “Tuscan Style”, diffonderlo, per far si che diventi un grande amo, un’antenna per intercettare il turismo che veramente ci interessa e che questa città, quella delle grandi tradizioni, dei variegati patrimoni, quella del “Buon Governo” si merita. Se riuscissimo poi a superare le ottuse barriere campanilistiche che nella Toscana continuano ad imperversare alimentando ancora divisioni fra i vari territori, si potrebbero attivare sinergie per creare per ogni turista che lo volesse un vero e proprio “Cammino nella bellezza”. La bellezza come una delle tappe nel percorso della felicità. E riportare cosi velocemente questa città agli antichi splendori, farla ritornare ad essere il salotto buono, un luogo dove chi lo vorrà potrà essere certo di potervi vivere una esperienza polisensoriale unica e indimenticabile, come ospite e da protagonista.
Parliamone, dunque, confrontiamoci con concretezza determinazione e fiducia. Fiducia nelle nostre abilità ma soprattutto nelle grandi potenzialità dei nostri territori. Zygmunt Bauman nel suo ‘L’arte della Vita” dice che “nel nostro mondo liquido moderno potremo essere felici fino a quando non perderemo la speranza di esserlo in futuro e questa speranza potrà rimanere viva solo se ci saranno una serie di nuove occasioni, una catena infinita di partenze che ci consentano di porci nuove sfide” Abbiamo nella nostra terra gli ingredienti indicati da Bauman per raggiungere la felicità, le occasioni per poter creare una serie nuova e continua di partenze. Dobbiamo decidere di porci nuove sfide, quelle che ci accompagneranno verso una nuova dimensione di benessere.
Non demandiamo ad altri soggetti che non siano operatori economici del settore la ricerca di soluzioni. Riappropriamoci del problema. Se sapremo affrontarlo per risolverlo con spirito imprenditoriale, con la condivisione della appartenenza ad un unico “corpo” socioeconomico con quella lungimiranza ed apertura di cui un imprenditore attento sa essere capace potremo tornare molto presto a vivere ciò che oggi ci appare come un sogno svanito: il Buon Governo.