Trecentomila ettari di superficie agricola persi negli ultimi dieci anni, 7-9mila euro a ettaro spesi per la manutenzione straordinaria dei fossi contro gli 850 euro a ettaro per quella ordinaria. Sono i numeri che fotografano le gravi carenze italiane in tema di pianificazione e progettazione territoriale per la prevenzione dei dissesti idrogeologici. Numeri sui quali si sono confrontati agronomi e forestali riuniti a convegno sabato scorso sull’Isola di Palmaria. Obiettivo, trovare nuove soluzioni per cambiare rotta a partire dai disastri ambientali e dai morti delle alluvioni di novembre 2011 in Lunigiana e nelle Cinque Terre.
Attenzione costante «Dopo l’emergenza non bisogna spegnere i riflettori – spiega Monica Coletta, presidente della Federazione dei Dottori Agronomi e dei Dottori Forestali della Toscana – E’ nostro impegno sostituire logiche di prevenzione a quelle di ripristino e della gestione dell'emergenza. Ma il sistema può funzionare se tutte le professionalità coinvolte collaborano per il raggiungimento di questo comune obiettivo. La categoria dei Dottori Agronomi e dei Dottori Forestali, per la sua presenza capillare sul territorio, può dare un contributo fondamentale in tema di gestione delle aree agricole coltivate, di progettazione, direzione e collaudo delle opere di sistemazione idraulica, di contrasto all’abbandono delle aree rurali, dove i solchi del degrado, innescano forme di dissesto di gravità crescente che collassano in occasione di eventi meteorologici eccezionali».
Il territorio che cambia «Il momento che stiamo vivendo è molto delicato – aggiunge Sabrina Diamanti, presidente Federazione dei Dottori Agronomi e dei Dottori Forestali della Liguria -. Il paesaggio e il territorio sono in trasformazione: le pinete scompaiono, i castagni soffrono sotto l’attacco del cinipide, non c'è rinnovamento di specie autoctone, mentre proliferano quelle infestanti. La pianificazione in questo caso diventa anche salvaguardia di un patrimonio storico-culturale-paesaggistico e diventa risorsa in un'ottica di realizzazione di filiera, posti di lavoro e riduzione di spese legate al ripristino, che coinvolgono spesso le infrastrutture e sono molto elevate sia in termini di esborso che di disservizio».
Il progetto pilota della Valle del Serchio «L’abbandono delle attività agricole nelle aree montane, soprattutto nelle aree più marginali, espone il territorio a fenomeni che nel breve o lungo periodo si ripercuoteranno sull’assetto idraulico e idrogeologico del territorio – aggiunge Pamela Giani del comprensorio di Bonifica n. 4 “Valle del Serchio” -. Per questo il Comprensorio di Bonifica “Valle del Serchio” si sta adoperando per valorizzare il ruolo delle aziende agricole nella tutela idraulica e idrogeologica dei territori montani contro l’abbandono delle campagne attraverso il progetto “Custodia del Territorio” avviato nel 2006». Attraverso convenzioni attivate con alcune aziende agricole del territorio, i privati provvedono alla sorveglianza, monitoraggio e primo intervento su una parte del reticolo idraulico. Un progetto permette di ridare dignità agli agricoltori, a coloro i quali hanno deciso di rimanere in montagna e investire su quei territori per creare la propria attività, riconoscendo alle aziende quelle esternalità positive che sono in grado di fornire, non per ultimo il presidio del territorio. Il bacino montano del fiume Serchio si sviluppa su oltre 1.500 km di reticolo idraulico con più di 2.000 opere idrauliche. Il ruolo delle aziende agricole coinvolte è principalmente quella di svolgere attività di monitoraggio e controllo dello stato dei luoghi per mezzo di sopralluoghi e trasmettere le situazioni rilevate, lo stato dei luoghi loro assegnati, agli uffici competenti tramite l’invio di appositi report, anche attraverso il sito web del Comprensorio di Bonifica.