Una crisi che continua ad essere presente e diffusa nel settore dell’edilizia abitativa e che ormai da anni sta mettendo in difficoltà gli operatori della cooperazione nonostante i numerosi sforzi profusi nel corso del tempo. Meno liquidità e più paura nel fare investimenti sono questi i fattori di maggiore problematicità per il comparto come sottolinea Silvano Maurizio, presidente del Consorzio Casainsieme e membro del consiglio di presidenza di Confcooperative Siena. «La crisi purtroppo è arrivata prima nel nostro settore, sebbene la cooperazione abbia dimostrato una sostanziale tenuta nel tempo. Purtroppo però ciò che incide maggiormente è l’atteggiamento delle banche che non concedono più mutui né agli operatori economici né tantomeno ai cittadini. Senza dimenticare il continuo dualismo tra istituti di credito e management, tra chi richiede trend di sviluppo prima di erogare un mutuo e chi invece non si assume alcuna responsabilità senza avere la certezza di fondi a sua disposizione. Oltre a questo la pressione fiscale, che grava sul prodotto-casa, non le permette di essere quel catalizzatore di mobilità e occupazione che fornirebbe inoltre anche un’opportunità di uscita dalla crisi».
La ricetta per uscirne Per il presidente del Consorzio Casainsieme, nonostante le difficoltà, la soluzione per uscire dalla crisi ci sarebbe. «Ci vuole una diversa erogazione del credito, la cui garanzia deve essere data dal valore dell’immobile, non dalle risorse a diposizione di chi chiede il mutuo, vista la precarietà e l’instabilità cui tutti oggi dobbiamo far fronte – continua Silvano Maurizio -. Inoltre, occorre anche che le amministrazioni comunali capiscano che i tempi, per il nostro settore, sono fondamentali. Non possono sempre intercorrere anni tra un piano strutturale ed una concessione edilizia. E credo che sarebbe auspicabile anche una maggiore comprensione delle problematiche da parte delle Procure della Repubblica che troppo spesso fermano cantieri o, comunque, creano dei problemi, senza rendersi conto che nella fase realizzativa avvengono sempre delle piccole modifiche, il più delle volte chieste anche dagli utenti per esigenze tecniche, funzionali o strutturali, che possono e devono essere dichiarate soltanto a fine lavori. Se per ogni minima modifica è necessario fermare il cantiere e chiedere nuova autorizzazione, significa raddoppiare, come minimo, i tempi di realizzazione, con sostanziale incremento dei costi. In questa situazione di crisi del Paese nessuna categoria può essere esentata dallo svolgere in termini positivi il suo ruolo. Anche le legislazioni nazionali e regionali dovrebbero rendersi idonee a queste esigenze, consentendo un reale controllo su quello che è il vero abusivismo».