Stop. Gabbie chiuse e piste deserte. È iniziato così il 2012 dell’ippica italiana. La fotografia è quella dell’ippodromo di San Rossore, a Pisa, dove dal 1855 si correva nel giorno del primo dell’anno. Niente galoppo invece, niente cavalli: tutto chiuso. Tutti fermi per almeno altre due settimane. Uno sciopero prolungato che anticipa quella che sarà la grande manifestazione di piazza di Roma del prossimo 12 gennaio, quando cavalli, fantini, proprietari, allenatori e addetti ai lavori vari scenderanno in piazza per manifestare il loro dissenso per i tagli imposti dal decreto “Salva Italia” del Governo Monti e per le gravi “zoppie” che da tempo affliggono il comparto ippico italiano.

I problemi dell’ippica Domani, il segretario dell’Assi (ex Unire), Francesco Ruffo, incontrerà a Roma il Ministro dell’Agricoltura, Mario Catania, per presentargli i problemi di tutto un settore che rischia seriamente di chiudere definitivamente, con la drammatica conseguenza per gli oltre 5000 addetti ai lavori che vedono avvicinarsi la prospettiva di trovarsi di punto in bianco senza un’occupazione e, ben più grave, per circa 15mila cavalli che temono per la loro stessa sorte.  Il taglio, netto, imposto dalla nuova manovra finanziaria, porta a un -40% lineare di contributi statali al comparto delle corse, per un passaggio da 400 a 235 milioni che porterebbe inesorabilmente molte società che gestiscono gli ippodromi a chiudere definitivamente i battenti. Una ghigliottina che però rappresenta solo il colpo di grazia per l’ippica italiana, da anni alle prese con una pressoché totale assenza di aiuto da parte del mondo delle scommesse regolamentate italiane. A cui  va aggiunta anche una poco avveduta gestione delle risorse come sostiene Riccardo Del Punta, pisano, presidente nazionale dei funzionari di corse al trotto (Anfact), in una vibrante intervista rilasciata sulle pagine de Il Tirreno. Con lo Stato che dalla fine degli anni ’90 ha iniziato a investire sui vari Gratta & Vinci, Slot Machines, Super Enalotto e Win for Life, le scommesse ippiche si sono ridotte a un misero 1,7% di quello che è il totale complessivo italiano. Una cifra irrisoria e sostanzialmente nulla. Anche perché se dietro ad un videopoker o un biglietto da grattare c’è un semplice macchinario, dietro una scommessa ippica ci sono migliaia di animali, 45 strutture dislocate in tutta Italia, un indotto che deriva dall’agricoltura che produce il nutrimento per i cavalli stessi, e poi allenatori, guidati, fantini, artieri, veterinari, maniscalchi, sellai, proprietari, investitori, gestori delle strutture e tanto altro ancora.

Il mondo dell’ippica ignorato Un microcosmo, quello che ruota e che fa muovere gli ippodromi, a questo punto totalmente ignorato e lasciato morire al pari di un malato terminale. Dove sono gli animalisti ora? Dove sono i paladini della difesa dei cavalli in questo momento così drammatico per questi animali? Se l’atteggiamento statale risulta ingiusto e cieco nei confronti dell’economia che un ippodromo riesce a muovere (solo in Toscana, oltre un milione di euro l’anno), quello che sorprende maggiormente è la totale mancanza di una presa di posizione da parte della Lav e delle altre associazioni animaliste insieme a tutti i personaggi pubblici e dello spettacolo, da sempre in prima linea per la tutela degli animali. Impressiona l’indifferenza o la non premura verso migliaia di purosangue che rischiano, seriamente, di diventare carne da macello.

L’ultima speranza per il Caprilli di Livorno Pisa, le due strutture di Firenze, quella di Montecatini, quella appena inaugurata di Follonica e lo storico Caprilli di Livorno. Anche la Toscana non sembra godere di una salute migliore rispetto a quella che è la situazione nazionale. A Livorno, un tentativo, forse l’ultimo disperato per salvare una storica struttura del galoppo italiano, è stato fatto da un bando dell’Unione Europea, pubblicato sul portale del comune labronico. Dopo l’uscita di scena di Alfea dalla gestione dell’impianto livornese, si cerca un nuovo socio di maggioranza dato che la Labronica Corse Cavalli, risulta avere in questo momento 20 dipendenti, tutti in cassa integrazione. La speranza è che un segnale possa arrivare anche su questo fronte. L’atmosfera è quella di una “rincorsa” collettiva verso il si savi chi può. Visti i tempi però, occorrerà “galoppare”.