Un grande passo avanti nella cura della talassemia è stato fatto alla Fondazione Monasterio di Pisa, Istituto ospedaliero e di ricerca della Regione Toscana e del Cnr. L’istituto ha individuato un metodo per la conoscenza dell’accumulo di ferro nel cuore, fondamentale per la terapia della talassemia maior, la forma più grave della cosiddetta anemia mediterranea.


Talassemia – La malattia, che in Italia fa registrare circa 7.000 casi, si manifesta quando entrambi i genitori sono portatori dell’alterazione di un gene dell’emoglobina e comporta l’accelerata distruzione dei globuli rossi, con la conseguente necessità per il paziente di sottoporsi a trasfusioni ogni 15-20 giorni fin dall’infanzia.


Terapia – Le ricerche del gruppo pisano hanno permesso di coprire una lacuna nella cura di questa patologia. “Questo è un esempio evidente dell’integrazione tra attività di ricerca estremamente avanzata e applicazione in sanità a una problematica di grande rilevanza – ha dichiarato il professor Luigi Donato, direttore generale della Fondazione Monasterio – e corrisponde esattamente alla vocazione della Fondazione Monasterio, che la Regione ha voluto per integrare la ricerca avanzata con la clinica nella sanità pubblica.” I risultati della ricerca toscana sono stati pubblicati in questi giorni su Hematologica, la rivista internazionale leader del settore, che ha raccolto la testimonianza dell’intera operazione di ricerca, che è culminata con la costituzione della rete MIOT (Myocardial Iron Overload in Thalassemia), cui partecipano già oggi 8 centri di risonanza (Pisa, Ferrara, Ancona, Roma, Campobasso, Lamezia, Catania e Palermo). Al MIOT applicano la tecnologia sviluppata a Pisa, che consente di guidare la terapia chelante sulla base dell’entità effettiva dell’accumulo di ferro nel cuore. La procedura si è dimostrata così efficace che sembra aver ridotto massicciamente il verificarsi dello scompenso cardiaco.


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