«Io non mi sento italiano, ma per fortuna o purtroppo lo sono». Sembrava di sentire la voce tonante di Giorgio Gaber, invece era il grido delle “Vittime del Salva-Banche”, che ieri mattina si sono ritrovati per manifestare a Laterina, paese natale del ministro Maria Elena Boschi. Erano in trecento con striscioni e tamburi e tanta rabbia. Tutti contro il decreto che lo scorso 22 novembre ha azzerato i titoli di Banca Etruria, Cariferrara, Carichieti e Banca Marche, cancellando oltre 300milioni di euro di risparmi. Neanche i Carabinieri sono riusciti ad impedire ai manifestanti di imboccare la strada che porta a Villa Boschi. Hanno chiamato a gran voce Pier Luigi Boschi, ultimo vicepresidente della vecchia Banca Etruria, sul cui dissesto sono in corso diverse inchieste della Procura di Arezzo, anche quella per bancarotta fraudolenta. Dopo le urla («esci fuori») rivolte a papà Boschi e il lancio di finte banconote attraverso i cancelli della residenza, i manifestanti sono stati allontanati dalla Polizia e hanno proseguito diretti nella piazza principale del paese.
«Con la banca colati a picco anche noi» «Con quale faccia andiamo in giro per l’Italia a dire di essere toscani? Quando siamo stati fregati proprio dai nostri! Li vogliamo tutti in galera». Per tutta la mattina in Piazza della Repubblica si sono susseguiti gli slogan contro la famiglia Boschi, il premier Matteo Renzi, il Pd e il Pm Rossi. In piazza, tra gli ex obbligazionisti per lo più anziani, abbiamo incontrato Letizia Giorgianni, presidente dell’Associazione Vittime del Salvabanche: «Questa è una vicenda che vede tanti soggetti interessati, primi fra tutti gli ex amministratori di Banca Etruria, che hanno portato ad affondare la banca, come fossero tanti Schettino. Con la Banca siamo colati a picco anche noi. Gli amministratori hanno gestito l’istituto in modo scellerato, prestando soldi ad imprenditori amici. Tra questi amministratori c’è anche il babbo del Ministro alle Riforme del nostro Paese e noi siamo qui per questo».
Dopo i primi tentativi di trattativa col Governo falliti, quale sarà la prossima iniziativa dell’Associazione?
«Inizialmente il Governo ha tentato di buttar fango su di noi, dandoci degli investitori speculatori, facendo sottintendere che in qualche modo questo trattamento ce lo meritavamo. Da novembre la nostra battaglia continua e oggi molti italiani si sono resi conto che quello che è successo a noi, poteva benissimo succedere a loro. A chi come noi ha avuto fiducia nella propria banca ed è stato truffato. A tutti coloro che sono rimasti vittime di un decreto, che ha scaricato le colpe di gestioni folli sulle nostre spalle. Si parla tanto dei nuovi decreti ma tardano ad arrivare, non ci aspettiamo che escano tanto facilmente. Evidentemente hanno qualche problema a giustificare fino in fondo il Salva-Banche. Quindi abbiamo ancora tempo per far sentire la nostra voce e far capire a tutti cosa è successo. Noi rifiutiamo l’arbitrato e chiediamo un incontro con ABI. Perché, da voci vicine al Governo, ci arriva la notizia che, se dipendesse solo dalle banche, queste avrebbero già provveduto al nostro risarcimento. Quindi, perché non si lavora affinché ci vengano restituiti i nostri risparmi? L’ideale sarebbe un tavolo a cui far sedere Associazione Bancaria Italiana, Governo e Vittime del Salva-Banche. Non ci sarebbe più spazio per questi rimpalli. Per altri istituti di credito non sono stati azzerati obbligazionisti e azionisti, ma è stata trovata la soluzione del Fondo Interbancario Volontario. Perché per noi no? È stato fatto un gioco sporco. Non si può più solo dare la colpa alla crisi di mercato, ai crediti deteriorati e ai fidi milionari che non sono rientrati in banca. Oggi facciamo i conti con qualcosa di grande che parte da molto lontano e la legge se ne sta occupando».
Si riferisce ai fascicoli di inchiesta aperti dalla Procura di Arezzo su Banca Etruria, il più pesante quello per bancarotta fraudolenta?
«Esattamente. Abbiamo fiducia nella Procura di Arezzo dalla quale ci aspettiamo grande serietà e con la quale continuiamo a collaborare fin dove ci è possibile»
Come?
«Nella casella di posta dell’associazione continuano ad arrivare lettere anonime che noi subito consegniamo in Procura. Nell’ultima lettera, probabilmente un dirigente di banca, ci fa avere un documento interno di Banca Etruria. In questa lettera l’anonimo ci fa capire che era impossibile che all’interno della banca nessuno sapesse, magari non lo sportellista, ma i direttori erano tenuti a conoscere il prodotto che vendevano. C’è un dossier che parla delle subordinate e mostra un livello di rischio alto o medio-alto e non un livello di rischio basso, come abbiamo firmato noi. Ci sono arrivate anche delle fatture per consulenza da 55 milioni di euro. Soldi che venivano fatti uscire da Banca Etruria per entrare nelle tasche degli amministratori. È tutto in mano della Procura. Mentre aspettiamo che si vada in fondo a questa sporca vicenda, noi continuiamo a chiedere che sia fatta giustizia».