heysel_1Trent’anni dopo, la Toscana non dimentica la tragedia dell’Heysel. Fra le vittime di quella assurda serata allo stadio di Bruxelles, dove persero la vita 39 persone – per assistere alla finale di Coppa dei Campioni fra Juventus e Liverpool -, c’erano anche cinque toscani: la studentessa Giuseppina Conti, 17 anni di Arezzo; Giancarlo Gonnelli di Ponsacco, 20 anni; Bruno Balli, 50enne di Prato e Giovacchino Landini (50 anni) da Capannori; il medico aretino, Roberto Lorentini, 31enne, eroe dell’Heysel, già insignito della medaglia al valore dal Presidente della Repubblica, per aver perso la vita nel tentativo di salvare un bambino nella maledetta curva “Z”. Oggi nelle mani di Andrea Lorentini, figlio di Roberto e presidente dell’Associazione Familiari Vittime dell’Heysel è stato consegnato il Gonfalone d’Argento, la massima onorificenza del Consiglio regionale della Toscana.

«Non dimenticare quell’assurda tragedia» «Il Gonfalone d’Argento all’Associazione Familiari Vittime dell’Heysel – ha detto la vicepresidente del Consiglio, Lucia De Robertis, che ha promosso l’iniziativa – vuole essere un richiamo a non dimenticare quell’assurda tragedia di trent’anni fa, e uno sprone all’opera della rinata associazione nella diffusione di una cultura della non violenza nello sport e intorno allo sport». Ha ringraziato il presidente del consiglio regionale Eugenio Giani e la vicepresidente De Robertis «per questa onorificenza così prestigiosa e di alto valore simbolico» Andrea Lorentini: «Per l’Associazione è un motivo di orgoglio – ha sottolineato – e al tempo stesso di stimolo per portare avanti con rinnovata energia il nostro impegno civile per tenere viva la memoria di quella tragedia e contribuire a diffondere i veri valori dello sport con particolare riferimento alle nuove generazioni». Alla cerimonia di palazzo Panciatichi è intervenuta anche una delegazione della Nazionale, guidata dal presidente della Federcalcio Carlo Tavecchio, con il difensore della Juventus e della nazionale, Giorgio Chiellini. Azzurri in questi giorni in ritiro a Coverciano per preparare l’amichevole che l’Italia giocherà proprio allo stadio di Bruxelles (oggi ribattezzato Re Baldovino) per ricordare quella tragedia del 1985.

Agnelli «ancora oggi increduli» Il presidente della Juventus Andrea Agnelli ha inviato un messaggio al Consiglio regionale della Toscana: «Bisogna adoperarsi quotidianamente per evitare che episodi del genere accadano ancora», ha scritto il presidente bianconero. «Quando accadono tragedie come l’Heysel, che ancora oggi ci lascia increduli e impotenti, non c’è nulla che possa lenire il nostro dolore – ha proseguito Angelli –. Tuttavia, possiamo fare in modo che avvenimenti del genere non accadano in futuro. Sfortunatamente, la storia, come in questo caso, è anche memoria di vittime umane. È quindi nostro impegno, in quanto uomini, tributare il doveroso omaggio a tutte le vittime di quella giornata e dimostrare la nostra vicinanza ai loro cari». L’associazione dei familiari delle vittime dell’Heysel «non solo persegue con le sue attività questo lodevole intento, ma si prefigge come principale obiettivo la promozione della non violenza nello sport, che da sempre dovrebbe rimandare a valori positivi e autentici», ha scritto ancora  Agnelli, che si congratula con l’Assemblea toscana «per la lodevole iniziativa e con Andrea Lorentini per l’onorificenza ottenuta in questa giornata».

Pablito ricorda e si scusa: «Non sapevamo» Anche Paolo Rossi, il centravanti di quella Juventus e dell’Italia campione del mondo in Spagna ’82, ha scritto una lettera per l’occasione di oggi. «Sono passati trent’anni, ma le ferite non si sono ancora rimarginate. Sono ancora lì, aperte e piene di disperazione dei familiari delle vittime. Io quella sera c’ero e posso raccontare le mie impressioni su quella inconcepibile, quanto ingiustificabile, serata». E torna a riaprire con i ricordi quella pagina che ha cambiato la storia del calcio: «Quella sera, né l’atmosfera né il contesto della gara potevano far presagire una simile catastrofe. Doveva essere una giornata di festa e di gioia» e invece si trasformò «in un campo di morte ancor prima che il gioco avesse inizio. Un massacro, prima ancora che il fischietto dell’arbitro riuscisse a scandire l’avvio della contesa tra le due formazioni. Io ero lì, pronto a giocare, ma come molti altri non sapevo cosa fosse accaduto. Ignaro del dramma, continuai a rincorrere il pallone e a cercare il gol. Con me, i miei compagni di squadra». Tutto era già accaduto: «Nell’arco di quindici minuti esatti si era consumata un’atrocità senza eguali – scrive Rossi -. Inutile la gara da noi disputata e del tutto fuori luogo il giro di campo e l’esultanza dei giocatori, me compreso, ancora inconsapevoli. Impossibile, poi, capire fino in fondo di chi fosse la colpa: del Comune di Bruxelles, delle Forze dell’ordine, di uno stadio vetusto e poco – o per niente – idoneo a ospitare una finale di Coppa dei Campioni, dell’organizzazione Uefa». Inutile e tardivo: «Troppo tardi per rimediare alla violenza subita da troppe famiglie». Ancora oggi «a distanza di trent’anni, tanto dolore e troppe lacrime versate, ci si interroga sulla sciagura dell’Heysel, augurandosi che quantomeno possa essere servita da lezione per non ripetere gli stessi errori, per evitare altro sangue e lacrime preziose». «Io ero lì, ma non conoscevo la portata di quel dramma umano. Chiedo scusa, ma non sapevo. Nessuno di noi sapeva, né immaginava». Oggi, chiude Rossi, «il mio pensiero non può che andare alle vittime, e alle loro famiglie, che hanno combattuto e si sono adoperate, nel corso di questi lunghi e faticosi anni, affinché emergesse la verità. Sono con voi, con tutto il mio affetto e la mia vicinanza».