La figura e il ruolo dello psicologo in carcere come fondamento a tutela della salute dei detenuti, degli agenti e del personale che opera nelle strutture penitenziarie. Di fronte all’incremento esponenziale dei casi di suicidio e autolesionismo nelle carceri italiane, l’Ordine degli Psicologi della Toscana promuove il dialogo e il confronto sul tema con le istituzioni di riferimento per evidenziare criticità e sviluppare una piattaforma efficace per l’elaborazione di strategie che diano dignità tanto ai detenuti quanto agli operatori in un rapporto da costruire insieme.
“Il ruolo dello psicologo in carcere: quale futuro?” questo il titolo del convegno in programma sabato 14 e domenica 15 marzo a Firenze (Sala Conferenze dell’Ordine degli Psicologi della Toscana) promosso dal Gruppo di Lavoro di Psicologia Penitenziaria dell’Opt, istituito nel 2014 per rispondere ad alcune problematiche che colpiscono i professionisti operanti nel contesto inframurario nonché i detenuti.
Il programma Molti gli esperti chiamati ad intervenire insieme ai rappresentanti istituzionali e dirigenti sanitari. Ad aprire i lavori il presidente dell’Ordine degli Psicologi della Toscana Lauro Mengheri e a coordinare gli interventi sarà il consigliere del gruppo di lavoro Psicologia Penitenziaria Ezio Benelli.
La psicologia penitenziaria E’ una psicologia applicata a un contesto per sua natura rigido, all’interno del quale le esigenze di sicurezza sigillate da una pesante mole di norme giuridiche e burocratiche sfidano il principio fondamentale al quale si ispira il mandato deontologico dello psicologo: l’obbligo di lavorare per la promozione del benessere della persona. A fronte di tanti datori di lavoro e obiettivi professionali, ancora oggi lo psicologo in carcere non raggiunge una visibilità istituzionale ufficialmente riconosciuta: il singolo lavoratore si trova esposto a una composita realtà lavorativa, all’interno della quale pochi professionisti riescono a raggiungere una stabilità contrattuale lavorativa.