La letteratura è conoscenza, viaggio, emozioni, scoperta di se stessi, degli altri e del mondo. Ne troveremo conferme anche in questa rubrica che, settimanalmente, proporrà frammenti d’autore. Un piccolo “manuale d’uso” per i nostri giorni comuni e, soprattutto, per i sentimenti che dentro quei giorni abitano.
Che strana cosa gli uomini, che strana cosa la storia. Ci accorgiamo delle sue assurdità solo a posteriori, quasi mai nel momento in cui accadono. Il Novecento, da questo punto di vista, è stato un secolo anche troppo lungo. Nel libro delle irragionevolezze volle iscrivere anche le scandalose ragioni del Muro di Berlino. Muro reale e ideologico a dividere una città, un Paese, l’intera Europa, il mondo. Sono trascorsi 25 anni dal suo abbattimento. Ancora si ricorda quel 9 novembre 1989, la festa, la commozione, il violoncellista Rostropovich che suonava Bach in mezzo alle schegge di cemento. Qualcuno, in tema di muri, ricordò i versi scritti quasi un secolo prima da Costantino Kavafis: «Senza riguardo senza pietà senza pudore / mi drizzarono contro grossi muri». Esiste un bel libro, curato da Renatus Deckert e pubblicato nel 2009, che raccoglie racconti di autori diversi su “La notte in cui cadde il muro”. Tra questi leggiamo “La strada per Bornholm” di Durs Grünbein.
A distanza di vent’anni, erano soprattutto l’elemento ritardante, gli ordini confusi e l’incertezza generale davanti alla grande resa a costituire nella sua memoria il passaggio più bello di quel requiem. […] Fino all’ultimo ci furono telefonate agitate con un qualche centralino telefonico, i tappi dello spumante saltavano, e furono gli unici spari che si sentirono in quella notte. Alcuni degli ufficiali di frontiera ormai superflui si erano ritirati discretamente dietro le sbarre di recinzione. Poi l’argine si ruppe e il punto di controllo fu invaso da un flusso incontenibile di persone. […] Poco prima di mezzanotte la città era caduta in una morsa di gelo. Brusca e glaciale si ritirava nei corridoi gelati delle sue strade larghe, nei canali verniciati di nero, si aggirava attorno agli scheletri dei castagni spogli, si trincerava dietro le mura del cimitero e nei terreni coperti di macerie e poi ricostruiti, strisciava sulle banchine e sui binari. Solo i suoi abitanti, per questa volta, erano esclusi dal freddo glaciale. La solida costruzione in acciaio al nichel della Bornholmer Brücke sopportò quella notte migliaia di persone accaldate, eccitate per un capodanno anticipato. […] Quando si guardò intorno per l’ultima volta, Rufus R. notò il respiro dei soldati di frontiera nella luce gialla dei lampioni arcuati. Continuando per la strada, trovò ancora il tempo di osservare scrupolosamente il tracciato del muro in cemento, l’infinita serie di fortificazioni, che faceva pensare alle vastità siberiane e alle fotografie aeree dei campi di concentramento tedeschi, la striscia della morte completamente spianata e il suo malvagio scintillio. Pensava anche a quali sport perversi erano stati praticati lì per allenare l’esercito e per intimorire. Era stato il confine di Stato più sicuro del mondo. Adesso si lasciava tutto questo alle spalle. Arrivato dall’altra parte della strada, lesse con stupore su un cartello: Bornholmer Straße. Non avrebbe mai pensato che nella pianta della città le vie di comunicazione fossero ancora le stesse, ininterrotte, che la denominazione continuasse a essere semplicemente la stessa di prima del Muro. E solo adesso, dolorosamente tardi, si rese conto di come, per tutto quel tempo, quel nome fosse stato pieno di promesse. Una volta da bambino, in estate, su una sottile isola nel Mar Baltico, aveva individuato dalla roccia a strapiombo qualcosa di grigio nella foschia oltre l’orizzonte – una punta della Danimarca, lontana nel mare. Ma non era Bornholm. […] Era arrabbiato, triste, euforico? Si sentiva come se fosse tornato da una profonda assenza che gli aveva offuscato lo spirito, guarito da una brutta malattia. Non gli era mai successo e non gli sarebbe successo mai più di prendere parte a un evento storico. Ciò che accadde davvero quella notte si trova sepolto nel profondo della sua memoria. Non era di quelli che si guardano indietro dopo che tutto è stato deciso.
[da “La strada per Bornholm” di Durs Grünbein, in La notte in cui cadde il muro]