In seguito all’articolo «Non c’è alternativa, dicono. Oppure c’è ma non la vogliamo vedere?» pubblicato da Michele Taddei nel suo blog, pubblichiamo la riflessione di Simone Petricci, che lunedì scorso a Siena ha moderato l’intervento del presidente del Partito Demcoratico Matteo Orfini.
di Simone Petricci
Sono fra quelli (forse pochi) che ritiene possibile un’alternativa a qualsiasi azione politica e amministrativa laddove questa non tuteli gli interessi della collettività o non riesca ad offrire una progettualità orientata allo sviluppo e alla crescita del bene comune. Condivido, però, la tua analisi sul fatto che i protagonisti del cambiamento nella ricerca di una alternativa non possano che essere le persone partecipando attivamente all’impegno politico, civico e non solo esercitando il diritto di voto.
Il tema semmai è se esiste una alternativa ai partiti come incubatori di iniziativa politica e di formazione/selezione di amministratori, considerato che negli ultimi anni sono stati caratterizzati da una profonda crisi di rappresentatività che ne ha determinato la scomparsa, l’evanescenza o, nella migliore delle ipotesi, un drastico ridimensionamento delle adesioni. Esperienze pregresse dimostrano che in alcune realtà territoriali aggregazioni civiche e movimenti non riconducibili a formazioni politiche riconosciute possono anche diventare forza di governo di fronte alla perdita di autorevolezza e credibilità dei partiti tradizionali. Ma difficilmente queste esperienze sono durevoli quando si esaurisce la spinta antagonista che porta alla loro costituzione e viene meno la finalità elettorale che permette di aggregare in modo trasversale sensibilità diverse all’insegna del cambiamento.
In questo senso penso che una alternativa alla forma partito con riferimento nazionale sia difficile da trovare. Allora mi chiedo se in questo caso l’alternativa non si debba ricercare tanto in una modalità aggregativa diversa dai partiti quanto nell’approccio poco convincente adottato da questi ultimi per favorire il confronto e la partecipazione diffusa alla propria vita e ai processi di costruzione di iniziativa.
Da questo punto di vista anche il Pd, unico partito che ancora mantiene una dimensione organizzativa strutturata ed un certo radicamento territoriale, non brilla per appeal. Ne è prova l’esiguo numero di iscritti che il Partito Democratico denota attualmente tanto a livello nazionale quanto, nello specifico, della provincia di Siena e in città, se paragonato al dato dei tesserati censiti al momento della costituzione del Pd nel 2007. Ovviamente nel nostro territorio a rendere ancora più difficoltoso il proselitismo e l’attrattività del brand Pd è l’attribuzione di responsabilità della crisi che sta investendo le nostre principali istituzioni economiche e pubbliche, alle scelte politico amministrative compiute nel recente passato dalla stessa forza politica.
Quindi, se è difficile mettere in discussione la forma partito come luogo più idoneo a favorire una elaborazione strategica e la formazione di gruppi dirigenti e di amministratori, certo va ricercata una alternativa nel modo di fare politica e condurre il partito, se vogliamo che questo ritorni a rappresentare un punto di riferimento affidabile per i cittadini.
Per fare questo – l’ho già scritto in un precedente intervento apparso in questo sito – occorre un vero e proprio punto zero dal quale ripartire sviluppando un nuovo gruppo dirigente che raccolga, fra gli iscritti, le migliori risorse non responsabili delle scelte compiute in passato e che coinvolga, all’esterno, competenze e professionalità presenti in città e anche fuori di Siena laddove necessario. È necessario che sia ripristinato un meccanismo di selezione dei nuovi amministratori e dirigenti politici basato sulle capacità, le idee, l’impegno. È fondamentale ricucire relazioni con esponenti nazionali e regionali del partito per rivendicare un ruolo forte di questa realtà e chiamarli a discutere sulle scelte che sulla stessa potrebbero ripercuotersi. È necessario che le precedenti generazioni di buoni amministratori si mettano al servizio nell’accompagnare, sostenere senza doppi fini personalistici, il percorso di crescita di quelle nuove.
Questa alternativa nel modo di fare politica dovrebbe essere praticata immediatamente nel Pd locale senza attendere la celebrazione del congresso, che stante la prosecuzione delle attuali condizioni diventerebbe la solita conta fra pochi per riequilibrare i rapporti interni di forza con la riproduzione di schemi e scenari già visti.
Ecco perché questa alternativa di approccio andrebbe ricercata fin da subito se il Pd non intende delegare ad un moto civico crescente fuori dai partiti il compito di intercettare consenso e diventare potenziale forza futura di governo con tutte le incognite che potrebbe accompagnare questo percorso di radicale rinnovamento.