Due temi, per questo post. Ma è inevitabile. Cominciamo. Hanno marciato in cinquecento, tanti senesi, dietro lo striscione “Liberiamo Siena”, venerdì scorso (leggi). In merito alla marcia di liberazione, il sindaco Bruno Valentini e il vicesindaco Fulvio Mancuso, hanno scritto subito a caldo il giorno dopo: “Grottesco strumentalizzare la protesta”. Si è trattato di una marcia, senza simboli politici, con oltre cinquecento senesi che hanno ritenuto di schierarsi – loro mettendocela la faccia – per una protesta contro un sistema, incentrato sul Pd, che ha fatto disastri e che in tanti – anche oltre a quelli che hanno partecipato al corteo – non ritengono del tutto superato.

È bene esser chiari: Valentini e Mancuso non hanno definito grottesca la protesta, di cui scrivono “per molti versi comprensibile”. Quanto il tentativo – dal loro punto di vista – di portare anche la loro Amministrazione sul banco degli imputati. E dicono: “basta confondere noi, che lavoriamo per far uscire Siena dal pantano, con le storie e con le persone incapaci e senza scrupoli, che in questo fango l’hanno condotta o fatta scivolare negli anni passati”. Legittima presa di posizione di sindaco e vicesindaco; legittimo da parte dei “marcianti” affermare: ci ha rovinato il Pd – ed i trasversalismi dei poltronisti di altre forze politiche – e le cose non sono cambiate, a cominciare dal Pd. È la dialettica delle parti, in democrazia. Ed è d’altronde molto difficile che i cittadini percepiscano che un’Amministrazione comunale basata su una maggioranza Pd, non sia limitata nell’intento di rinnovamento, da un Pd che a Siena non viene percepito come rinnovato.

Non è tanto una questione che riguarda il sindaco Bruno Valentini e il vicesindaco Fulvio Mancuso in quanto tali, cioè gli artefici di due vittorie elettorali nel nome del rinnovamento. Diventando rappresentanti istituzionali, oltretutto, non possono continuare a combattere più di tanto – se lo ritenessero opportuno – dentro il loro partito. Ma non si intravedono “truppe” così motivate per schierarsi nel campo di chi vuole davvero chiudere con il passato, dentro il Pd. Perché a Siena il problema è il loro partito, il Pd: una volta scampato il pericolo della sconfitta elettorale, tutto o quasi è tornato come prima. Perfino il renzismo non passa in modo univoco e chiaro, ma spezzettato in tanti rivoli in contrasto tra loro.

A Siena, certamente grottesco è anche che perfino la rottamazione renziana non sfondi, perché trova un muro di gomma nel Pd locale. Stefano Scaramelli, la persona che ha guidato i renziani senesi in tutte le copiose vittorie nelle varie primarie, ha detto: “Quale è il Pd sotto la graticola delle accuse al centro del corteo di venerdì? Il Pd di Matteo Renzi non ha responsabilità. Il Pd del passato ne ha tante di responsabilità. Il Pd negli anni in cui si sono prese decisioni che incidono nella vita di tutti, aveva vizi capitali: la presunzione prima di tutto” E poi, sul presente, ha aggiunto: “Oggi una voce critica come la mia fa fatica perfino a potersi esprimere dentro il proprio partito. Perché la generazione di quelli che nel mio partito, il consenso lo hanno comprato con i soldi, con il clientelismo, fa fatica a confrontarsi con me. Quei capibastone abituati al consenso dei soldi, non sanno confrontarsi per un consenso delle idee”. Basta andare sul poad cast di Siena Tv, e riascoltare verso il finale la terza parte di “Siena diretta sera” di giovedì, per sentire queste parole di Scaramelli. Che, tutto sommato, sono simili a quelle di Valentini-Mancuso, quando parlano di “persone incapaci e senza scrupolo che hanno condotto la città nel fango”. Sarebbe interessante sapere se si riferiscono alle stesse persone.

In ogni caso, Scaramelli è stato voluto da Renzi dentro la Direzione nazionale del Pd ed invece lo stesso Scaramelli ritiene che non ci siano le condizioni per stare dentro la Direzione provinciale del Pd senese. I motivi li ha esposti a chiare note. Grottesco, no?

Quanto agli organizzatori della marcia di protesta, i consiglieri comunali di opposizione, hanno dimostrato che pur rimanendo ognuno nel proprio progetto politico originario, spezzettati in tanti gruppi in cui si fa fatica talvolta anche a districarsi, sono capaci di coagulare la protesta. Perché 500 in corteo a Siena, sono equiparabili a 5000 in una città “normale”, svincolata dal sistema di clientelismo del recente passato. La domanda che prima o poi dovranno cominciare a porsi è: dopo la protesta, la proposta politica e di contenuti, che sia capace di trasformare l’opposizione in una possibile alternativa di governo percepibile come tale dalla maggioranza dei senesi, può essere ancora rappresentata da uno “spezzatino” di liste civiche, tutte provenienti da una sconfitta elettorale? Come fare a porsi come soggetto aggregante di nuovi bisogni politici caratterizzati anche dalla delusione di tanti che invece erano nell’altro campo? E d’altronde, se questo soggetto aggregante non è nuovo e unito, difficilmente potrà aggregare, unire ed essere percepito come nuovo.

Forse, però, sia dalla marcia di venerdì che dalle prese di posizione di Valentini-Mancuso e di Scaramelli, potrebbe uscire una fase nuova per la politica della città. Certamente suddivisa in due proposte politiche alternative, ma meno frammentate, più nette, più chiare, più credibili. In grado di includere cittadini ad un nuovo dialogo con la politica, sull’un fronte o sull’altro. Una politica meno ingessata, meno prigioniera del passato. Siena è una città che è stata rovinata dalla sua classe politica e dirigente in virtù soltanto della bramosia di potere e del clientelismo che ha consentito di accumulare consenso in cambio di posti di lavoro, di promozioni, di poltrone grandi e piccole. E quelle condizioni di “sistema” clientelare, ancora permangono e sono gli elementi oggettivi più difficili da superare, per cambiare davvero.

Veniamo al secondo, doloroso punto di questo post. Sabato sul Corriere Fiorentino è apparso il mio articolo sulla morte di David Rossi, titolato “Ecco la controinchiesta per riaprire il caso di David”. Una intera pagina in cui ho cercato di raccontare alcuni aspetti in merito alla tragica fine dell’ex capo della comunicazione del Monte dei Paschi. Mi sono messo a lavorarci sopra, dopo aver sentito Milena Gabanelli, annunciare la puntata di Report del 16 novembre prossimo, pronunciando senza alcuna remora la parola “omicidio”. Una parola che mi ha scosso profondamente come giornalista e come senese. E poi, dopo aver sentito, nel trailer della trasmissione, la moglie di David, Antonella Tognazzi, dire che quell’appellattivo, “Toni”, usato dal suo marito nell’ultimo disperato messaggio, tra loro non si usava.

Mi sono messo al lavoro, e alla fine di una settimana intensa, confortato anche dal “gioco di squadra” che si è creato al Corriere Fiorentino, ho scritto il pezzo. Sabato mattina, è uscito un lancio Ansa che ha ripreso la notizia contenuta nell’articolo e riportato anche un primo commento, seppure indiretto, dei magistrati. Questa la parte iniziale del lancio: “La procura Generale di Firenze ha trasmesso a quella di Siena l’istanza di riapertura delle indagine sulla morte di David Rossi, Capo della Comunicazione del Monte dei Paschi, precipitato dall’ufficio di Rocca Salimbeni il 6 marzo 2013. Lo scrive oggi l’edizione toscana del Corriere della Sera. La notizia è stata confermata da fonti giudiziarie ma, secondo quanto si apprende, i pm Aldo Natalini e Nicola Marini, titolari dell’inchiesta, preso atto delle carte tornate da Firenze avrebbero confermato che queste andranno a far parte del fascicolo archiviato dal gip Monica Gaggelli il 5 marzo scorso. Non ci sarà quindi nessuna nuova indagine”. Ne abbiamo dato conto anche a Toscana Tv e Siena Tv.

Un giornalista sul suo blog personale, come questo, può anche esprimere non solo opinioni, ma anche sensazioni. E allora la domanda da cittadino, non da giornalista e tanto meno giornalista di cronaca giudiziaria che non sono, che mi pongo è: di fronte a certi elementi, nuovi o rinnovati alla luce di una chiave di approccio diversa, non è certo una sconfitta di nessuno l’eventuale riapertura di un’indagine. Per togliersi ogni dubbio residuo o ulteriore. L’archiviazione del procedimento relativo all’istigazione al suicidio, attesta che nessuno ha messo in moto manovre tali da indurre un uomo a suicidarsi. Nessuno, né fra i suoi superiori e colleghi di lavoro, né nella sua vita fuori del lavoro, né sul web, lo ha istigato a togliersi la vita. E anche questo è un fatto significativo e importante, che la magistratura senese ha potuto acclarare con scrupolo e con un’ordinanza motivata in 23 pagine.

La magistratura senese, tra l’altro, ha dato prova di grande efficienza, competenza, ma anche di un profondo senso civico, andando a ricostruire pezzo per pezzo l’intricato puzzle dello scandalo-Monte dei Paschi. Senza alcuna titubanza. Ed ha quindi la migliore reputazione possibile per togliere di mezzo quei dubbi inquietanti. In un senso o nell’altro. Anche ad una donna che avrebbe diritto quanto meno a esprimere i dubbi sulla fine del suo uomo, non solo davanti ad una telecamera. Per chi ne ritenesse utile la lettura, ecco il testo del mio articolo apparso ieri sul Corriere Fiorentino.

“Non crede al suicidio di David Rossi, la vedova Antonella Tognazzi, intervistata pochi giorni fa da Report. La trasmissione di Rai 3 ha mandato in onda l’anteprima di una puntata, quella del 16 novembre, che Milena Gabbanelli annuncia così: “Ci occuperemo dell’omicidio di David Rossi”. Una tragedia, quella dell’ex capo della comunicazione del Monte dei Paschi di Siena, che il Tribunale di Siena il 5 marzo scorso archivia come suicidio. Per conto della moglie di Rossi, l’avvocato Luca Goracci, nel maggio scorso, ha presentato alla Procura Generale di Firenze, un’istanza di riapertura delle indagini. Un pool di periti – Luca Scarselli, Gian Aristide Norelli, ed altri – ognuno per le proprie competenze, ha messo in fila una serie di elementi che puntano diritti verso una sola direzione: David Rossi il 6 marzo 2013 non si è suicidato. E quindi, secondo la loro tesi, è stato ucciso, o volontariamente o colposamente. Partendo da una discrasia che divide la realtà dei fatti dall’ora di registrazione delle telecamere: 16 minuti avanti, secondo il verbale tecnico del gestore. E poi, fotogramma per fotogramma, appare la dinamica della caduta. David Rossi piomba sul selciato del vicolo toccando terra con le natiche dopo un volo “a candela”, da un’altezza di 14,36 metri. La finestra dell’ufficio, al secondo piano di Rocca Salimbeni, ha una sbarra di protezione, un davanzale largo quanto una penna, sotto cui è appeso un fancoiler su cui è posta una risma di carta. Tutto appare intatto dalle foto successive alla tragedia. E per ovviare alla sbarra di protezione, l’ex capo della comunicazione di Banca Mps, o si sarebbe dovuto mettere in piedi su di essa per gettarsi sotto, oppure seduto. Ma in questo caso il suo corpo avrebbe subito una inevitabile rotazione, che invece non c’è stata.

Negli atti dell’archiviazione, che adesso, con l’istanza alla Procura Generale di Firenze, l’avvocato Luca Goracci chiede di riesaminare, c’è la documentazione fotografica sulle condizioni del cadavere. I reperti fotografici rilevati in sede di autopsia, documentano ecchimosi e ferite in varie parti del corpo: c’è una ferita al capo (o da corpo contundente o da sbattimento su una parete o su un tavolo) di circa 3 centimetri sulla regione occipitale non riferibile alla caduta a terra. Ancora, c’è una ferita al labbro inferiore, una alla narice. Sulle braccia si rilevano ecchimosi, come da afferramento; all’altezza dell’addome c’è una vasta zona nera, un livido largo all’incirca come un pugno chiuso. Per i periti del Tribunale, provocato dalla pressione della cintola dei pantaloni nel momento dell’impatto a terra. Sul polso ci sono tre ferite, ma sul dorso, non sotto. Potrebbero essere quelle autoprocuratesi da David Rossi nei giorni precedenti, come raccontano i familiari. Nell’atto di archiviazione i cerotti rivenuti nel bagno dell’ufficio di Rossi, vengono riferiti a questo. Oppure, secondo la tesi ipotizzata dal pool dell’avvocato Goracci, l’effetto di una forte pressione operata sul polso, tanto da imprimere sulla pelle i segni dell’orologio. Tutte cose che non hanno convinto la magistratura senese a discostarsi dalla tesi del suicidio: neppure i segni rinvenuti sulle punte delle scarpe di marca che David aveva ai piedi. Come di uno strusciamento sul terreno.

Nel vicolo di Monte Pio, chiuso e incastrato tra Rocca Salimbeni e i palazzi del centro storico, David Rossi resta solo, steso sul selciato, ad agonizzare per venti minuti. Lo rivelano i filmati della telecamera 6 di Banca Mps. Il vicolo sbocca su via dei Rossi. Animata a quell’ora, verso le 20 della sera. E il cadavere di David non è certo impossibile da vedersi. Eppure per venti interminabili minuti, David comincia a morire da solo. Muove la testa, le braccia, è vivo insomma. Ma nessuno segue in quei momenti, dalla banca, il video che riporta le immagini della tragedia. All’inizio del vicolo, sul muro, c’è una luce quasi costante per tutto il filmato ripreso dalla telecamere: sono le luci rosse di posizione di un’auto che se ne sta ferma in retromarcia all’ingresso del vicolo. Decisiva per impedire la vista di David che moriva. Ad un tratto, nel raggio di luce dei fari si staglia netta la figura di un uomo, che guarda da lontano dentro il vicolo. Senza entrarvi. Più tardi, quando è finita l’agonia di David che non si muove più, entra un altro uomo dentro il vicolo, che si avvicina al cadavere e poi fa una telefonata con un cellulare. Ma non è quella per chiamare il 118, che arriverà più tardi, fatta da Bernardo Mingrone, dirigente della banca.

Nei giorni precedenti, Rossi pensava di essere sul punto di essere travolto da eventi da cui si sentiva estraneo. Impaurito dalle indagini sullo scandalo Mps, soprattutto dopo la perquisizione subita il 16 febbraio, seppure non fosse indagato. Profondamente preoccupato anche in virtù della sua amicizia personale con l’ex presidente Giuseppe Mussari. E rincorso da voci insidiose sul suo possibile accantonamento professionale, peraltro smentito dai vertici della banca. C’era stato, due giorni prima, uno scambio di mail con l’Ad di Mps, Fabrizio Viola. Alle 10,13 del 4 marzo, David Rossi lancia un “help” a Viola: “Stasera mi suicido, sul serio. Aiutatemi!!!!”. Eppure la conversazione, mentre Viola era a Dubai, era iniziata con una mail in cui l’amministratore delegato, scrive: “parliamo della vicenda mutui di Prato”, in riferimento ad una indagine alla Guardia di Finanza su mutui per 80 milioni concessi dalla filiale di Prato. Più tardi Rossi aggiunge: “Ti posso mandare una mail su quel tema di stamani? È urgente. Domani potrebbe già essere troppo tardi”. Rossi scrive, in riferimento ai magistrati che indagano sullo scandalo Mps: “Ho bisogno di un contatto con questi signori, perché temo che mi abbiano inquadrato male, come elemento di un sistema e di un giro sbagliati. Capisco che il mio rapporto con certe persone possa averglielo fatto pensare, ma non è così. Se mi avessero chiamato a testimoniare glielo avrei spiegato, invece mi hanno messo nel mirino come se fossi chissà cosa. Almeno è l’impressione che ne ho ricavato. Avendo lavorato con tutti, sono perfettamente in grado di ricostruire gli scenari, se è quello che cercano. Però vorrei delle garanzie di non essere travolto da questa cosa, per questo lo devo fare subito prima di domani. Non ho contatti con loro. Mi può aiutare?”. Viola risponde: “Essendo la cosa molto delicata, credo che la cosa migliore sia che tu alzi il telefono e chiami uno dei pm per chiedere appuntamento urgente. Qualsiasi altra cosa potrebbe essere male interpretata. Oltretutto mi sembrano delle persone molto equilibrate”. Rossi sembra convenire: “Hai ragione, sono io che mi agito e mi sono spaventato dopo l’altro giorno”. E poi, ancora: “In effetti, ripensandoci, sembro pazzo a farmi tutti questi problemi. Scusa la rottura”. Due giorni dopo, l’epilogo, drammatico. E quei tre fogliettini lasciati alla moglie, in cui si legge: “Ciao Toni amore, ho fatto una cavolata troppo grossa per poterla sopportare”. Frasi su cui pesa il dubbio di Antonella Tognazzi: “Perché – ha detto a Report – mi ha scritto parole che tra di noi non ci siamo mai dette?” La procura Generale di Firenze ha già trasmesso tutto a Siena. Sarà adesso quella Procura a valutare se riaprire le indagini o meno”.