Si è aperto con un ampio spaccato sulla situazione del comparto l’intervento del presidente del Consorzio del Parmigiano Reggiano, Giuseppe Alai, nel corso dell’audizione avvenuta oggi in Commissione Agricoltura del Senato sulle problematiche della filiera nell’ambito della più ampia situazione lattiero casearia italiana. Alai ha evidenziato, in primo luogo, l’eterogeneità delle caratteristiche degli allevamenti e delle diverse condizioni produttive che connotano (anche in termini di costi) le imprese del territorio.
Nelle aree montane – ha sottolineato il presidente del Consorzio – la media produttiva annua di un allevamento è pari a 2.900 quintali rispetto ad un dato medio comprensoriale pari a 4.900 quintali. I primi 5 allevamenti – ha aggiunto – producono 535.000 quintali di latte, cifra pari a quella che realizzano, insieme, i 750 allevamenti più piccoli; una situazione analoga si registra anche a livello di strutture di trasformazione, laddove i primi 6 caseifici producono 360.000, corrispondenti a quelle che annualmente escono dai 130 caseifici più piccoli del comprensorio. “In una situazione che registra pesanti difficoltà a carico di tutti gli allevamenti, ma con aggravi specifici per quelli operanti in montagna e per i giovani allevatori che si sono insediati più recentemente – ha proseguito Alai – non è pensabile che possa essere lasciata al mercato una selezione fra allevatori e caseifici che indebolirebbe tutto il sistema, perché non esistono condizioni che possano avvantaggiare un modello o una dimensione rispetto ad un’altra in una filiera in cui il protagonista è un prodotto artigianale, alle cui quotazioni si legano le prospettive di reddito di ogni tipologia d’impresa”.
Il presidente del Consorzio ha poi sottolineato la delicatezza del passaggio che sta avvenendo sul versante produttivo: da una parte, infatti, con la cessazione del regime delle quote latte si passerà da una produzione contingentata per trent’anni ad un regime libero le cui ripercussioni segneranno profondamente il futuro del settore in Europa, mentre dall’altra si è già arrivati, nell’ambito del sistema Parmigiano Reggiano, alla gestione volontaria di una regolazione dell’offerta legata direttamente ai produttori, visto che proprio il Consorzio del Parmigiano Reggiano è l’unico ente di tutela che ha assegnato le quote latte da trasformare in formaggio direttamente agli allevatori.
A fronte della debolezza che i caseifici scontano sul versante della commercializzazione diretta (con il passaggio del prodotto a commercianti stagionatori che a propria volta si relazionano con il mondo della distribuzione), proprio il governo della produzione – ha detto Alai – è un elemento strategico, attraverso il quale, come se fossimo di fronte ad un’unica “fabbrica” – si punta ad orientare e governare il mercato, con una diretta ricaduta sull’esito delle contrattazioni e delle quotazioni, i cui andamenti sono positivi o negativi proprio in base all’entità quantitativa dell’offerta.
Dibattito – Nel successivo dibattito (interventi dei senatori Ruta, Latorre, Pagliari, Gaetti, Vaccari) sono stati poi affrontati diversi temi (dalle iniziative per l’export alla modulazione dell’offerta, a eventuali funzioni del Consorzio nel campo degli acquisti collettivi), riprese ampiamente, e con ulteriori richieste di approfondimento, dalla vicepresidente della Commissione Agricoltura del Senato, Leana Pignedoli, con particolare riguardo alle funzioni istituzionali del Consorzio, alla possibilità di costituire società commerciali, alla convivenza, all’interno del Consorzio, di produttori e stagionatori-commercianti.
Nel corso dell’audizione si è parlato anche delle azioni a supporto dell’export che possono essere messe in atto da parte del Governo e dell’esigenza di nuove azioni di coordinamento della filiera che consentano al sistema legato al Parmigiano Reggiano di presentarsi sul mercato in modo più compatto e coeso.
GUIDI (CONFAGRICOLTURA) ALL’AUDIZIONE AL SENATO: “E’ CRISI PER UNO DEI PRODOTTI SIMBOLO DEL MADE IN ITALY NEL MONDO. PIÙ RUOLO AGLI ALLEVATORI, RIDUZIONE DEI COSTI E PROMOZIONE” – “Le scelte di politica internazionale continuano a condizionare l’economia. E’ il caso del Parmigiano Reggiano, la cui crisi di prezzo rispecchia, anche se con diverso impatto, quella di tutto il settore lattiero caseario, tra calo dei consumi e squilibri conseguenti all’embargo russo”. Lo ha detto il presidente di Confagricoltura Mario Guidi, nel corso dell’audizione in Commissione Agricoltura del Senato, sulle difficoltà del Parmigiano Reggiano. Confagricoltura ha posto in evidenza come la stragrande maggioranza dei formaggi Dop vaccini italiani stiano vivendo un momento di difficoltà, con diminuzioni dei prezzi che, per il Parmigiano Reggiano, proseguono da alcuni anni e che arrivano anche al 6-9% su base annua ed al 16-19% su base mensile a gennaio di quest’anno.
Regole da riformare – “Le decisioni strategiche del comparto devono tenere conto delle esigenze degli allevatori in un quadro di regole che, forse, dopo tanti anni va riformato – ha sottolineato Mario Guidi – . Le quotazioni vanno alzate dove i mercati lo consentono, perché la politica dei prezzi bassi per un prodotto come il Parmigiano Reggiano non può reggere; va fatta poi una riflessione sul contenimento dei costi di produzione e sulla politica di promozione dei consumi sul mercato interno ed all’estero”. ”Senz’altro – ha concluso il presidente di Confagricoltura – bisognerà continuare a spingere sull’export, differenziando la strategia di marketing in funzione delle diverse tipologie di prodotto ed eliminando le barriere tariffarie e non tariffarie, ad esempio cogliendo la prossima occasione dell’accordo TTIP tra USA ed UE. Il tutto con la consapevolezza che il Parmigiano Reggiano è un prodotto unico, ambasciatore del made in Italy nel mondo”.
Le proposte della Cia per fronteggiare la crisi del ‘re dei formaggi’ presentate in audizione al Senato dal presidente della Cia Emilia Romagna Antonio Dosi – “La Dop Parmigiano Reggiano è in una situazione di crisi di prezzo che, se non si creeranno le condizione per una inversione di tendenza, rischia di trascinare in default gli allevamenti e la stessa produzione tipica. Questo nonostante la crescita delle produzioni di grana esportate (+4,1%) visto che il calo dei consumi nazionali non ha consentito di assorbire le produzioni di formaggio, peraltro cresciute a ritmi fisiologici”. E’ la premessa da cui è partito Antonio Dosi, presidente Cia Emilia Romagna e vice presidente nazionale, nel corso dell’audizione di ieri al Senato sui problemi del formaggio tipico emiliano. Si può ben definire drammatica la situazione attuale del settore e l’attività del Consorzio riguardo l’approntamento di interventi determinanti è in stallo da parecchi mesi. I motivi sono attribuibili allo squilibrio domanda/offerta piuttosto che a speculazioni ed alla fragilità e frammentazione del comparto, ma anche alla mancata efficacia e insufficiente adesione ad alcuni interventi promossi dal Consorzio.
Secondo la Cia, per uscire da questa situazione le scelte necessarie sono:
1- Interventi urgenti e delle istituzioni a sostegno del reddito degli allevatori alle prese anche con la fine del regime delle quote latte. L’attuazione della Pac, del Prsr (Piano regionale di sviluppo rurale) e i 108 milioni di euro della legge di stabilità sono leve con le quali il Governo e le Regioni devono sostenere il settore in questo passaggio delicato, insieme ad altre misure tra le quali un’azione che consenta l’eliminazione delle barriere non tariffarie che incidono sulla vendita del formaggio in molti Paesi.
2- internazionalizzazione, con migliorando le politiche consortili a sostegno delle esportazioni e individuare aree di mercato nuove su cui intervenire con politiche commerciali coordinate, anche in concomitanza con Expo 2015.
3- Consorzio e Interprofessione: occorre una strategia in grado di mettere in campo un rinnovato gruppo dirigente, nel più breve tempo possibile, insieme ad un nuovo progetto sul Consorzio e sulle dinamiche future del settore. Ridiscutere, quindi, il ruolo dello strumento “Consorzio Parmigiano Reggiano”, se con ruoli e compiti affidati in toto o ripartiti con una specifica OI (Organismo interprofessionale) interregionale. Altro obiettivo da perseguire è costruire una filiera in grado di riuscire a prevenire gravi perdite di reddito legate alle crisi di mercato, anche sperimentando ed utilizzando i nuovi strumenti della gestione del rischio previsti dallo sviluppo rurale.
4- Aggregazione della produzione. “La dispersione delle imprese di trasformazione (circa 360 caseifici/latterie) – ha concluso Dosi – ha mantenuto rapporti tradizionali con operatori commerciali che non hanno aiutato l’evoluzione delle relazioni commerciali e della partecipazione ai risultati della filiera.
Occorre a tal fine promuovere forme di aggregazioni di diversa dimensione utili a qualificare la capacità dei caseifici di esitare al meglio il prodotto, a partire dall’utilizzo della OP (Organizzazione di produttori) sia nella forma cooperativa che di rete d’impresa”.